FLISA | OCEANI | MARIO NIGRO | Contatti
Pensieri al vento


Gianni Nigro
Anni giovani
26/09/2011

Sdraiati sul letto a occhi chiusi, camminando lungo un marciapiede tra una macchia scura e l’altra, oscillando inermi per le scosse mentre si viene trasportati da un autobus, o un filobus, o un tassì, attendendo in piedi o (se si è fortunati) seduto che esca il proprio numero di turno (in Posta, all’anagrafe, in banca, dal salumiere), la mente vaga a ruota libera. Tornano i discorsi, le chiacchiere, le discussioni, magari animate, avute con gli amici, con i parenti, con gli sconosciuti.
   A volte si dice quello che si pensa. Altre volte si lascia perdere, ritenendo che proprio non ne valga la pena.
   Da adolescente dire quello che si pensava a un coetaneo di diverse posizioni poteva voler significare prendersi a botte. Se poi il proprio pensiero veniva espresso ad alta voce o per iscritto in un tema (frequentavo il Liceo Scientifico Vittorio Veneto negli anni Sessanta) poteva voler dire prendere un brutto voto non tanto per lo stile col quale si esprimeva il proprio pensiero (la grammatica, la sintassi ecc.) ma il contenuto stesso. Insomma, capitava sovente (e a me è capitato più di una volta) che un insegnante di idee diverse dalle mie mi punisse per le mie opinioni.
   Si dirà: altri tempi.
   Mah. Del Liceo ho anche dei bei ricordi, le vittorie in Atletica leggera, la gara degli Ottocento metri dove applicavo la tattica dell’attacco a 250 metri dall’arrivo. E poi gli intrighi con le ragazze, le prime feste da ballo rigorosamente tenute nelle case privati di qualcuno dei nostri stessi compagni di classe, le interminabili camminate alla scoperta della città.
   Leggendo il giornale, ascoltando la radio, e più tardi la televisione, quante volte mi sono sorpreso a scrivere in mente mia un articolo diverso da quello che leggevo!
   Qualche lettera, negli anni giovani, l’ho anche scritta e spedita, ai quotidiani. E non mi vanto né mento affermando che quasi sempre le mie lettere sono state pubblicate. Del resto ne conservo delle copie, ingiallite dal tempo e conquistate dagli acari della polvere.
   Più avanti, però, volli cimentarmi con articoli veri e propri e riuscii a ottenerne la pubblicazione, sia su giornaletti locali, in Romagna e successivamente a Milano, sia in quotidiani importanti a tiratura nazionale, finché iniziai a collaborare con la Rai di Firenze.
   Come dimenticare la prima volta? Ma non perché fosse la prima volta che facevo il mio ingresso in una sede della Rai (anche, naturalmente), o perché raggiungevo il mio primo incarico importante. Sì, tutto ciò è vero, ma è il viaggio in sé che fu particolarmente drammatico.
   Mi ero trasferito a casa di mia madre, in Romagna, perché mi pareva che da lì avrei potuto raggiungere più facilmente Firenze, piuttosto che da Milano, avendo l’appuntamento con Capostruttura fissato per le dieci di mattina.
   In realtà avevo anche una gran voglia di starmene qualche giorno in campagna, lontano dall’aria inquinata della grossa città.
   Ebbene, mi misi in macchina molto presto, verso le sette, nella luce incerta di un’alba di Gennaio, ma subito a Castrocaro iniziai a sentire sotto le ruote una neve semisciolta, una specie di fanghiglia, per il momento rendeva appena instabile il procedere dell’auto ma niente più.
   A Dovadola la fanghiglia divenne più pesante e le ruote slittavano decisamente. Dovetti far ricorso a tutta la mia esperienza e procedere con contro sterzate continue per mantenere la via rettilinea.
   A Rocca San Casciano rallentai notevolmente l’andatura, ma avevo ancora tutto il tempo necessario per arrivare in orario.
   A San Benedetto in Alpe si procedeva pressoché a passo d’uomo, ma comunque si procedeva.
   A Bocconi, nello spiazzo antistante la palazzina ex Casa del Fascio, in quel momento Circolo Arci (e adesso, già dalla fine degli anni Novanta, bar e ristorante privato, credo) tutte le auto vennero fermate. Non si poteva più proseguire. Entrai nel bar a chiedere cosa fosse successo e mi dissero che lungo un chilometro di strada tutta la neve della costa del monte era franata sull’asfalto e stavano aspettando la pala, cioè la scavatrice, per ripristinare la percorribilità della carreggiata.
   Non mi lasciai prendere dal panico. Avevo ancora la possibilità di ritornare a Castrocaro, prendere per Faenza, innestarmi nell’Autostrada fino a Bologna e da lì prendere l’Autostrade del Sole e raggiungere Firenze. Sarei arrivato in ritardo ma sarei arrivato.
   I tanto vituperati telefonini! Se fossero esistiti, a quei tempi! Era il Gennaio del 1980 e comunque esistevano i telefoni dei bar e le cabine telefoniche, ma era troppo presto per telefonare. E poi che figura! Al primo colloquio con la Rai, arrivare in ritardo!
   Poi qualcuno gridò a tutti che la pala era arrivata.
   Il cuore mi batteva a mille. Nel giro di dieci minuti ci dissero che un varco era stato scavato. Ci precipitammo tutti in macchina. In realtà mi ritrovai con le altre auto in fila dietro la scavatrice che procedeva lentamente a spostare quel mezzo metro di neve dall’asfalto verso il monte.
   Per fortuna la nave caduta non era molta. Quando la scavatrice arrivò in fondo al rettilineo ero libero di ripartire a tutta velocità… o per lo meno a venbti all’ora, dato che l’asfalto era ricoperto comunque di cinque centimetri di vecchia neve compattata e congelata.
   Dal versante toscano del Muraglione non c’era neve e alle ore dieci e venti minuti varcai le soglie della sede Rai di Firenze.
   Il colloquio andò benissimo. Non vedevo l’ora di tornare. In cima al Muraglione mi presi un cappuccino bollente, per festeggiare. Il sole iniziava a calare e a casa di mia madre per le cinque del pomeriggio era previsto un tè con le sue amiche, tutte donne della borghesia forlivese, insegnanti, pseudo - scrittrici, pseudo - intellettuali, insomma tutte pseudo - qualcosa.
   Un uomo rubizzo mi avvertì che la discesa era tutta congelata. Ringraziai e partii. Mi ritrovai su una specie di pista da sci. Quel palmo di neve che ricopriva l’asfalto per trenta chilometri, col calare invernale della sera e quindi con il raffreddare della temperatura, era diventato scivolosissimo, e non avendo io le catene, praticamente pattinavo a zig zag.
   Andò relativamente bene per tre o quattro tornanti (la discesa del Muraglione Verso la Romagna è costituito da otto tornanti secchi) quando lungo un rettilineo tra un tornante e l’altro mi si parò davanti l’immagine di un gigantesco camion con rimarchio, con targa tedesca. Era in posizione obliqua rispetto alla carreggiata e dunque la occupava tutta impedendo a chicchessia di transitare.
   Fermai il muso della mia auto (una Fiesta bianca) davanti al muso del camion e scesi. Provai a chiamare. Rispondeva solo il vento gelido. La temperatura era sicuramente scesa sotto lo zero, in termini di gradi centigradi.
   Mi sembrava di essere Amundsen sul Pack del Polo Nord, o, se preferite, sul ghiaccio dell’antartide.
   Lo portellone del camion si apriva, ma dentro non c’era nessuno.
   Mi guardai attorno. Solo neve, ghiaccio, e vento gelido.
   Però, analizzando bene, tra la cabina del camion e il monte un po’ di spazio c’era. Andai in macchina e presi il coperchio della ruota di scorta. Era sufficientemente rigido per fungere da vanga. Iniziai così a togliere quanta più neve da quello spazio. Riuscii addirittura ad arrivare, in basso, a liberare l’asfalto. Mi dedicati quindi all’allargamento del passaggio, levando la neve dal fianco del monte. La Fiesta di quei tempi era piuttosto stretta e un buco di poco più di un metro mi sarebbe bastato.
   Lavoravo con foga quando udii un’auto sopraggiungermi alle spalle. Erano quattro uomini, gli stessi che si stavano scaldando alla stufa e con la grappa del bar del Muraglione. Dai volti rossicci erano tutti uno più alticcio degli altri.
    “L’abbiamo vista da lassù”, mi dissero. E in pochissimo tempo liberarono lo spazio che serviva. Poi mi invitarono ad entrare in macchina, a innestare la seconda e a spingere più che potevo. La iancata di destra, in effetti, faceva attrito ancora contro la neve del monte, ma con la loro energica spinta posteriore l’auto scivolò al di là di quella gelida strettoia.
   Salutai con la mano ringraziando, per quanto potevo, dovendo controsterzare continuamente perché l’asfalto era in realtà una pista di ghiaccio.
   Alle cinque e qualcosa ero a casa da mia madre. Le comari stavano tutte allegramente chiacchierando. Mia madre servì il tè e posò su un piccolo tavolino basso un bellissimo vassoio stracolmo di paste. Le donne erano troppo intente a chiacchierare, mentre giravano per intere decine di minuti il cucchiaino nella tazzina per mescolare lo zucchero.
   Intanto, con la cosa dell’occhio, assistei ad una scenetta che definire divertente è dir poco. Mia figlia aveva appena un anno ma già si reggeva precocemente in piedi. Era così piccola, comunque, che nessuno se ne accorgeva. Prendeva una pasta, quella che al momento colpiva di più la sua fantasia, la leccava ben bene, e poi la riponeva sul vassoio. Quindi sceglieva un’altra pasta, la leccava per vagliarne la dolcezza e il sapore, e la riponeva.
   Praticamente saggiò tutte le paste o quasi e poi si dileguò.
   A questo punto mia madre, impeccabile o quasi padrona di casa, invitò le signore a prendere le paste. Potevano, disse loro, anche inzupparle nel tè, tanto erano tra di loro, certa etichetta poteva anche saltare. Le donne ridevano. Io anche, ma la mia rigata sarebbe risultata troppo sgangherata, per cui salii al piano di sopra e mi lasciai andare ad una delle risate più liberatorie della mia vita!

Altri Link

La foto racconta
Viaggiare
Immagini
On the road
Immagini on the road
Emozioni scandinave
Una sera estiva scandinava
Danimarca
Svezia
Asfalti rossi di Svezia
Il fascino della mitica E6
Norvegia
La piccola città di Flisa
La scoperta della Tundra
Grong
Andenes
Notti artiche
Ny Ålesund
America latina
Argentina
Europa
Toscana
La mia città
Il mare etrusco
Scogli alla deriva
Il mare
Pini mediterranei
Terrazza Mascagni
Il ritorno
Bella mi' Montenero
Il campo di grano
Onda vieni
A Livorno la voce rimbomba
Al sole della Baviera
Narrativa
Racconti e immagini
L'Universo
Volavo a 120
Trasformazioni
La gara dei 100 metri
Enterprise
Fabio
Mario Nigro
Nato a Pistoia (Mario Nigro)
La madre (Mario Nigro)
Il padre (Mario Nigro)
L'infanzia (Mario Nigro)
Livorno (Mario Nigro)
Adolescenza (Mario Nigro)
Laurea (Mario Nigro)
Mineralogia (Mario Nigro)
Farmacia (Mario Nigro)
Lavoro e matrimonio (Mario Nigro)
Presentazione del romanzo Flisa
Cartello di Flisa
La Chiesa verso Flisa
La rotonda di Flisa
Gianni Nigro a Flisa
La Kaffegata
Portada de Flisa en Castillano
Il romanzo FLISA
Gli alieni sono atterrati
Turisti in Baviera
Gianni Nigro a Strasburgo
Gianni Nigro steccolo
Gianni Nigro giovane
Scienza
Informatica











FLISA ROMANZO GOTICO

SITI DI
Gianni Nigro
OCEANI
NARRATIVA
SCIENZA
INFORMATICA
MARIO NIGRO
FLISA