Delusioni


di Freccia di Granito

Freccia di Granito
01/11/2011


Il concetto di delusione l’altro giorno mi ha fatto ridere. Per non piangere. Come spesso accade.
   È una storia che mi ha raccontato una signora, la mia vicina di casa, una donna di una certa età. Dunque, andiamo per ordine. C’era una volta (così cominciavano le favole, vi ricordate?) una bambina, cioè proprio la mia vicina di casa, per semplicità chiameremo Ada. E Ada aveva una cugina, che sempre per brevità rinomineremo Ida.
   Orbene. Ada e Ida, oltre che cugine. erano amiche. Un’amica del cuore.
   Sapete, da bambini si può arrivare ad affezionarsi ad un amico quasi fosse una fratello. Ida, poi, oltre che amica, era anche cugina. E Ada era figlia unica. Potete immaginarvi come si fosse affezionata alla sua cugina e amica Ida! Praticamente Ada trascorreva le sua giornate, nei momenti in cui non andava a scuola e non doveva fare i compiti, a desiderare che Ida, più grande di lei, venisse a trovarla. Uscire da sola, infatti, alla piccola Ada non era ancora acconsentito.
   Quando Ada non aveva nulla da fare e non riusciva a concentrarsi in nessun gioco solitario, passava il tempo sdraiata nel lettino della sua cameretta a sospirare: “Quando verrà Ida? Quando?”
   Va precisato che a quei tempi i telefoni in casa erano pochi e la famiglia di Ada non ce l’aveva. Ida poteva arrivare all’improvviso, in un giorno e in un’ora qualsiasi, ed essendo piccola la città in cui vivevano, la cosa era possibile in qualsiasi momento.
   La madre di Ada, vedendo la figlia soffrire così tanto, le ripeteva una cantilena: “Aspettare e non venire, è un male da morire!”. Poi, divenute signorine, le due ragazze camminavano spesso assieme, per le strade principali della città. Ma Ida era sempre un po’ sfuggente.
   Un giorno la famiglia di Ada fu costretta ad emigrare in una grossa città, e per Ada ciò significò prima di tutto la perdita della sua amatissima cugina e amica Ida.
   Passano gli anni, passano i decenni, e le due ragazze, ormai donne, ormai oltre i sessant’anni d’età, ricominciano a contattarsi. In realtà è Ada che riesce con un indagine a tappeto a strappare l’informazione dell’indirizzo di mail elettronica di Ida e finalmente le scrive. Ida ogni tanto risponde, a volte passano mesi e mesi prima di una sua lettera, ma comunque le risponde.
   Nel frattempo Ada ha maturato la convinzione, la voglia, la volontà e i mezzi per trasferirsi nuovamente nella città d’infanzia. E pensa: così potrò nuovamente trovarmi con Ida, uscire con lei, ridere e scherzare come una volta.
   Però c’era un però. Ida si era sposata e a Ada pure. Ma il marito di Ida non era molto propensa a condividere il marito con quello che sapeva essere stato un affetto molto intenso tra Ada e Ida. E poi, sapete com’è, dipende molto anche dal temperamento delle persone. Ci sono individui possessivi, che sono gelosi anche dei parenti, degli amici del coniuge, di chiunque gli si avvicini. Ci sono. È una questione di carattere.
   Insomma, un bel giorno Ada decidere di gettare alle ortiche ogni indugio e chiede, tramite e-mail, alla cugine e amica Ida se, ritornando Ada alla città d’origine, avrebbe anzitutto ritrovato la disponibilità dell’amica Ida, sia ad uscire loro due che magari, perché no, con i mariti.
   Ada pensava: l’ho fatta grossa, questa è la volta che Ida non mi risponderà mai più, ora che l’ho messa un pochettino con le spalle al muro, taglierà ogni comunicazione.
   E invece, dopo neanche una settimana, arrivò la mail di Ida. Una mail lunghissima. Mai Ida in quei due o tre anni di corrispondenza elettronica, le aveva scritto così tanto. E Ada lesse avidamente e tutta d’un fiato la lettera, al computer.
   La carissima Ida le ripeteva ogni tre righe di pensarci bene, prima di un passo simile. Le ripeteva che lasciare tutti i vantaggi di una grande città poteva essere un rischio. Le ripeteva che la loro piccola città ormai non offriva più lavoro (Ada era in pensione, e Ida lo sapeva benissimo, di che cavolo stava parlando la sua carissima cugina?). Ida aggiungeva che anche i cantieri portuali stavano chiudendo. Beh, pensò Ada, non ho mai preso in ipotesi lì eventualità di fare lo scaricatore di porto, non ne ho mai avuto il fisico, men che meno ora che ho più di sessant’anni.
   La cosa più divertente (o tragica, o ipocrita, scegliete voi il termine) era che Ida condiva la lettera ripetendo ogni tre righe (ogni due, o anche meno) che a lei, Ida, egoisticamente, sarebbe piaciuto che Ada tornasse. Ida si dichiarava felice per un ritorno di Ada. Ma… ecco il grande punto: temeva che Ada ne sarebbe rimasta delusa!
   Sì, sì, scriveva proprio così, Ida. Non scriveva “spero con entusiasmo che tu torni, non vedo l’ora di poterti incontrare quasi ogni giorno, non sto nella pella di sapere che sei nuovamente a un passo da me…”
Macché. Nessun entusiasmo. Aveva paura soltanto che Ada restasse delusa.
   La primissima cosa che Ada pensò fu: ma a te che cazzo te ne frega della mia eventuale delusione?
La seconda cosa che pensò fu: “ma quando mai ti sei preoccupata di me, in questi 50 anni? Quando mai mi hai cercata, quando mai hai chiesto in giro se stavo bene? Quando mai ti sei preoccupata di rintracciare il mio numero di telefono o l’indirizzo e-mail giustamente per chiedermi se stavo bene, se stavo male, se c’era qualche cosa di cui per caso ero rimasta… delusa?
   La terza e ultima cosa che Ada pensò, fu: sì, mia cara adorata amica e cugina, sono delusa. Sono veramente delusa. Ancora una volta io sono delusa. Per la millesima volta io sono delusa. Ma non sono delusa del mio ritorno alla nostra città di origine, dalla quale non chiedo un lavoro da portuale. Non sono delusa dell’ambiente, come tu dici, dell’ambiente provinciale, cosa che conosco benissimo e alla quale sarei più che preparata. No, cara mia cugina e amica Ida. Io sono sì delusa, ora, hic et nunc. Ma è di TE che sono profondamente, immensamente, irrimediabilmente (come sempre) delusa!




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